Si è conclusa la seconda settimana di discussione in Senato sulle riforme costituzionali, con la notizia di ieri, che la riunione dei capigruppo ha deciso di contingentare i tempi, applicando la cosiddetta “tagliola”, per evitare la discussione su tutti i quasi 8000 emendamenti pervenuti. Subito le opposizioni hanno espresso il loro dissenso lasciando l’aula e recandosi al Quirinale per protesta; ma i Senatori PD non ci stanno. “Abbiamo chiesto moltissime volte – afferma Rosanna Filippin, senatrice bassanese del PD – che gli emendamenti ostruzionistici venissero ritirati per discutere sul merito dei nodi ancora da sciogliere, ma non è servito a nulla. Il muro contro muro è proseguito e la capigruppo non ha potuto che imporre delle tempistiche”. “È inutile parlare di deriva autoritaria quando la discussione seria e’ impedita da trappole ostruzionistiche. Basta vedere – prosegue Filippin – che emendamenti sono stati presentati. Ce ne sono decine che chiedono di cambiare nome alla Camera dei Deputati in camera degli eletti o camera dei rappresentanti, fino alle più fantasiose proposte di Duma, Bulè, Assise, Congregazione eccetera. Poi ci sono gli emendamenti che vorrebbero cambiare numero dei membri della Camera dei Deputati con tutte le combinazioni numeriche possibili”. “Il problema – precisa Filippin – è che ogni proposta di emendamento prevede dieci minuti di intervento per ciascun presentatore, ai quali si aggiungono i minuti per gli interventi in dissenso dal proprio gruppo (un giochino molto usato dai 5 Stelle). Si può ben capire che non era possibile discutere tutti i 7680 emendamenti, soprattutto se sono emendamenti di questo genere. E’ seria difesa della democrazia proporre come riforma costituzionale il cambio del nome alla Camera dei Deputati in Congregazione degli eletti o Duma dei rappresentanti?”. “L’apertura per un dibattito costruttivo in aula – conclude Filippin – c’è stata, ma evidentemente non è servito a nulla. La scelta di contingentare i tempi è stata alla fine una scelta obbligata”.
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