Per garantire che il percorso di concessione di maggiori forme di autonomia alle regioni abbia un ancoraggio solido ai principi costituzionali, è stata presentata una proposta di modifica dello Statuto regionale che chiede di ripristinare all’articolo 1 dello Statuto del Veneto il richiamo, forte ed esplicito, all’unità della Repubblica italiana.
MODIFICA DELLO STATUTO DELLA REGIONE VENETO DIRETTA AD INTRODURRE IL RIFERIMENTO ALL’UNITA’ DELLA REPUBBLICA ITALIANA
Art. 1 – Modifica all’articolo 1 comma 1 della legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n.1 “Statuto del Veneto”. 1. Al comma 1 dell’articolo 1 della legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1 “Statuto del Veneto”, dopo le parole “Il Veneto è regione autonoma,”, aggiungere le seguenti: “nell’unità della Repubblica italiana,”.
R e l a z i o n e: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali: attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. L’assetto istituzionale del nostro Paese, come definito dall’articolo 5 della Costituzione, è chiaramente improntato a una forte accentuazione autonomistica all’interno di un impianto inscindibilmente unitario.
L’unità della Repubblica e il riconoscimento delle diversità territoriali, così come la loro valorizzazione, costituiscono i pilastri della nostra vita civile, poste a fondamento dello sviluppo e della crescita della persona. Attorno a questi valori si è andata costruendo la nuova Italia, e molta strada andrà fatta per renderla sempre più moderna e capace di offrire risposte utili ai cittadini, nell’unità del Paese, all’insegna dell’autonomia e della sussidiarietà. Unità e solidarietà, assieme al pieno dispiegarsi delle energie delle diverse comunità territoriali, sono i fondamenti che hanno caratterizzato l’azione della società civile veneta. L’autonomia regionale, come prevista dall’articolo 116 terzo comma della Carta costituzionale, ci richiama alla necessità che “la politica riconosca, valorizzi e immetta nelle istituzioni ciò che di vivo cresce nella società” (Messaggio di insediamento del Presidente della Repubblica al Parlamento, 3 febbraio 2022). La devoluzione ai territori di maggiori e ulteriori forme di autonomia, vissuto con spirito di leale collaborazione tra Stato e Regioni e tra le diverse Regioni, può divenire cruciale nel rafforzare la coesione sociale e nel far progredire la società italiana nel suo insieme. Lo Statuto del Veneto fonda su questa sintesi le sue premesse più rilevanti. Nella sua versione originaria, infatti, all’articolo uno, lungamente discusso dai nostri padri statutari nel 1971, la dimensione autonomistica non è sganciata dalla capacità profonda di comprendere le questioni generali del Paese e di esserne guida. Non è un caso che l’istituzione delle Regioni, così come l’approvazione dello “Statuto dei lavoratori”, abbia visto protagonista un Presidente del Consiglio veneto, Mariano Rumor, erede di una tradizione che pur tenendo nella massima considerazione il fondamento territoriale della politica, ha sempre interpretato un ruolo nazionale: cambiare l’Italia tutta, per migliorare anche le condizioni delle singole realtà territoriali delle nascenti regioni. Alla luce delle esigenze attuali, è necessario comprendere quale valore attribuire all’autonomia regionale, tenendo conto dell’urgenza e della serietà degli interrogativi che pone. Oggi è indiscutibile che serva una ristrutturazione istituzionale che non si limiti ad una mera riallocazione di risorse e funzioni, ma che sia in grado di riqualificare gli assetti tanto della pubblica amministrazione quanto della democrazia italiana. La Regione Veneto, nel processo di definizione delle forme di autonomia differenziata, deve evitare la tentazione di porsi come mero centro di potere periferico, scisso da una visione globale e unitaria della Repubblica. Si tratterebbe di un approccio pericoloso che potrebbe ingenerare una involuzione democratica in cui si alimentano interessi egoistici e campanilismi territoriali. Ciò che occorre, al contrario, è la capacità di rappresentare un organismo politico in cui democraticamente convergono interessi, aspirazioni ed esigenze delle comunità locali, all’interno della visione nazionale dei medesimi interessi e delle medesime aspirazioni. Una riforma, dunque, inserita nel contesto unitario del Paese. La previsione dell’articolo 116 terzo comma, dunque, va indubbiamente letta in coerenza con tutte le disposizioni costituzionali, evitando logiche di contrapposizione tra livelli istituzionali. Serve stabilire un equilibrio, un equo bilanciamento tra istanze locali ed esigenze di tutela di valori unitari. La differenziazione deve realizzarsi secondo criteri di ragionevolezza, e cioè in coerenza con le concrete finalità da perseguire e senza recare pregiudizio alle ragioni dell’unità. Il richiamo all’unità della Repubblica italiana all’articolo 1 dello Statuto del Veneto era presente nella formulazione originaria, quella che il Consiglio regionale, appena insediato, mise a cardine della nascita dell’istituzione regionale (“Il Veneto è Regione autonoma, nell’unità della Repubblica italiana, secondo i principi e nei limiti della Costituzione, e si dà il presente Statuto”, articolo 1, comma 1, Statuto della Regione Veneto, 1971). Nelle legislature successive, in particolare dalla VII in poi, si susseguirono diversi tentativi di revisione e ammodernamento del testo originario, che giunsero a compimento nel gennaio del 2012, quando il Consiglio regionale approvò all’unanimità il nuovo testo di Legge statutaria. Nella nuova stesura, all’articolo 1, scompare il riferimento esplicito all’unità della Repubblica italiana e si inserisce un richiamo più generico alla Costituzione italiana e all’ordinamento dell’Unione europea (“Il Veneto è Regione autonoma, secondo il presente Statuto, in armonia con la Costituzione della Repubblica e con i principi dell’ordinamento dell’Unione europea.”, articolo 1, comma 1, Statuto della Regione Veneto, 2012). Naturalmente, le decisioni maturano al passo con i tempi, e seguono i cambiamenti in corso. Raffrontando le due stesure dello Statuto, quella originaria del 1971 e quella ridefinita nel 2012, emerge come nell’arco di quarant’anni si sono modificati alcuni riferimenti a concetti generali. Ad esempio, il problema dell’emigrazione, cruciale nel ’71 per una terra che vedeva partire ogni anno migliaia di persone sembra lasciare il passo nel 2012 alla preoccupazione riguardo al futuro delle nuove generazioni. Questo semplice esempio rende l’idea di quanto anche la legge statutaria sia il risultato di un processo che vive in coerenza con il proprio tempo e con le grandi questioni che la società si incarica di mostrarci. Dal 2012 è ormai trascorso più di un decennio e sono molte le novità che hanno incrociato il cammino della trasformazione in chiave autonomistica dello Stato, e che oggi richiedono di riprendere una discussione attorno all’atto fondativo della nostra Regione, al fine di ribadire l’impianto ideale di riferimento dell’autonomia regionale. La premessa a cui richiamarci è sempre l’articolo 116 terzo comma della Costituzione italiana, che prevede che alle Regioni a statuto ordinario possano essere concesse forme e condizioni particolari di autonomia su alcune specifiche materie e competenze. Si tratta, dunque, di una facoltà, e non di un obbligo, che prevede che la concessione avvenga con legge dello Stato, su iniziativa delle Regioni. Questa iniziativa fu formalmente assunta dalla Regione Veneto già nel 2007 quando il Consiglio regionale conferì al Presidente della Giunta regionale il mandato per negoziare e concertare l’intesa con il Governo sulle forme e condizioni particolari di autonomia. Dall’approvazione nel 2001 delle modifiche al Titolo V della Costituzione che hanno, appunto, introdotto questa facoltà, era la prima volta che l’aspirazione della nostra Regione a una maggiore autonomia veniva formalizzata in un atto formale del Consiglio. Questa spinta autonomista, pur non concretizzata finora in alcun provvedimento nazionale, ha indubbiamente animato in profondità il dibattito pubblico regionale, alimentata dal bisogno di una affermazione sistematica dell’identità veneta, che emerge anche dalla revisione del 2012 dello Statuto. Da allora però è sembrato prevalere un impianto in cui il rafforzamento dell’identità veneta è stato troppo spesso interpretato in alternativa all’identità nazionale, e dunque anche alle sue istituzioni. Nel 2014 sono state approvate la legge regionale n. 15 “Referendum consultivo sull’autonomia del Veneto” e la legge regionale n. 16 “Indizione del referendum consultivo sull’indipendenza del Veneto”. La legge n. 15 prevedeva lo svolgimento di cinque referendum regionali, sui seguenti quesiti: (1) “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”; (2) “Vuoi che una percentuale non inferiore all’ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all’amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio regionale in termini di beni e servizi?”; (3) “Vuoi che la Regione mantenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?”; 4) “Vuoi che il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non sia soggetto a vincoli di destinazione?”;5) “Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?”. La legge n. 16 prevedeva che il Presidente della Giunta indicesse un referendum consultivo sul quesito: “Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana? Si o No?”. Con sentenza n. 118/2015 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei referendum proposti, ad eccezione del quesito sull’Autonomia. La Corte, pur riconoscendo la facoltà delle Regioni di attivare la partecipazione popolare anche in riferimento ad ambiti che superino i confini delle materie e del territorio regionale, ha ribadito come tale facoltà non abiliti ad assumere iniziative eccedenti i limiti indicati dalla Costituzione. E questo sulla base della considerazione che il referendum, anche quando non produce effetti giuridici immediati sulle fonti del diritto, assolve in ogni caso alla funzione di avviare, influenzare o orientare processi decisionali pubblici. In particolare, in riferimento al quesito di cui alla LR n. 16/2014, la Corte, nel giudicarlo inammissibile, afferma che tale quesito, proponendo “prospettive di secessione in vista della istituzione di un nuovo soggetto sovrano (…) suggerisce sovvertimenti istituzionali radicalmente incompatibili con i fondamentali principi di unità e indivisibilità della Repubblica, di cui all’art. 5 Cost.”. Nella sostanza la Corte rimarca quanto quella legge regionale e i suoi contenuti contrastino con il principio dell’Unità della Repubblica, elemento essenziale dell’ordinamento, talmente fondamentale da essere sottratto persino al potere di revisione costituzionale. Dunque, la Corte ci richiama alla necessità che autonomia regionale e federalismo non siano strumentalizzati fino ad essere” invocati su prospettive di secessione in vista della istituzione di un nuovo soggetto sovrano”. Ma anche rispetto alla LR n. 15/2014 non mancano i rilievi della Corte, che ha giudicato conforme soltanto il primo quesito, che verrà poi sottoposto alla volontà popolare il 22 ottobre 2017. La Corte, dunque, dichiarando inammissibili tutti i quesiti proposti dalla Regione Veneto tranne uno, ci richiama a quanto il dibattito sull’autonomia in Veneto, anche attraverso atti legislativi, sia stato influenzato da tendenze estranee e in contrasto col dettato costituzionale, al punto da rischiare di mettere in discussione nell’opinione pubblica quel richiamo all’unità nazionale voluta dai fondatori della Regione e ritenuto forse troppo frettolosamente superfluo dalla revisione del 2012. L’ambiguità di molti atti assunti dal Consiglio regionale nel corso degli ultimi anni, così come quelli di alcuni suoi esponenti di primo piano, hanno finito per ingenerare nel resto del Paese l’idea che il Veneto più che all’autonomia fosse interessato alla secessione indipendentistica. E in questo senso, l’eliminazione del riferimento all’unità della Repubblica, contenuta nello Statuto originario, è stata interpretata, in particolare nelle altre regioni, come una elisione che rimanda ad una interpretazione in cui autonomia fra rima con indipendenza. Per tutte queste ragioni, e per ribadire l’ispirazione collaborativa che deve regolare il rapporto tra unità e differenziazione, quale si configura l’autonomia alla luce del nostro sistema costituzionale, appare ora più che mai necessario e utile ripristinare il riferimento nell’articolo 1 dello Statuto regionale all’unità della Repubblica italiana. A maggior ragione oggi che la dimensione collaborativa tra livelli istituzionali viene rafforzata dalla volontà di garantire riconoscimento formale e sostanziale al rapporto Stato-autonomie attraverso l’istituzionalizzazione della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Così intesa, e così ribadita, l’autonomia si emancipa dalla tutela egoistica di particolari interessi territoriali, che rischia di andare a discapito delle esigenze di solidarietà, e rivela la sua intrinseca connotazione di strumento flessibile, che può condurre al rafforzamento dell’unità e, al contempo, alla valorizzazione delle specificità territoriali. La presente proposta di revisione dello Statuto regionale si compone, dunque, di un unico articolo finalizzato al re-inserimento del richiamo esplicito all’unità della Repubblica italiana nell’articolo 1 della legge statutaria regionale.