La platea dei record offre una prolungata standing ovation a Matteo Renzi in quella che passerà alle cronache come la Leopolda più partecipata delle sette finora organizzate. Quando il presidente del Consiglio prende la parola, nel capannone principale non c’è più un centimetro quadrato libero. Gli addetti alla sicurezza faticano a contenere il fiume di persone che, malgrado la calca, continua a entrare. Sono arrivati da tutta Italia, molti in giornata, per altri è il terzo giorno a Firenze. Tra i “sognatori pazzi”, come lo stesso Renzi definisce i partecipanti che sette anni fa hanno fatto nascere “una storia che sembrava visionaria, velleitaria”, c’è una numerosa pattuglia di veneti. Hanno ascoltato con attenzione gli interventi succedutisi durante l’intensa mattinata di chiusura. A scaldare il pubblico dal palco c’è Matteo Richetti, parlamentare modenese e leopoldino della prima ora, improvvisatosi con successo anchorman della manifestazione. “Stiamo recuperando lo spirito originario della Leopolda”, commenta soddisfatto il capogruppo del Pd di Vittorio Veneto, Marco Dus, uno dei veterani della manifestazione insieme alla trevigiana Benedetta Pricolo. “Forse non possiamo più definirci rottamatori, ma c’è ancora una gran desiderio di cambiare il nostro Paese”. La sensazione che il lavoro non sia ancora compiuto e che il referendum del 4 dicembre rappresenti un punto di svolta è palpabile ben prima che sul palco salga il presidente del Consiglio. A proposito di spirito da recuperare, Oscar Farinetti patron di Eataly, chiede di “tornare a essere simpatici. Questo è un tema. A volte ho la sensazione che siamo diventati antipatici. E diventiamo simpatici se tiriamo fuori i nostri sentimenti: la paura. Io, da imprenditore, ho una paura immensa di perdere il 4 dicembre e buttare via due anni di lavoro. L’ho detto a Matteo, dobbiamo tornare a essere simpatici. Per vincere è fondamentale Molti consensi, specie tra i veneti, quando sul palco sale Marco Bentivogli, segretario della Fim Cisl il cui intervento è stato tra i più apprezzati della giornata: “Non sono del Pd”, ha detto Bentivogli, “ma sono qui per dirvi che non c’è solo un sindacato ideologico, non c’è solo un sindacato che non vuole guardare al futuro, c’è anche un sindacato che vuole il cambiamento. Noi vogliamo arginare il saccheggio populista del movimento operaio, quella storia è troppo importante per cederla ai populisti. Si può fare a meno di una parte di sindacato, quella parte che ha confuso i diritti con l’abuso dei diritti, che ha confuso il diritto di sciopero con l’abuso al diritto di sciopero. Il sindacato deve fare il sindacato, non politica. Deve rappresentare i lavoratori, non gli interessi personali di futuri leader politici”. “Finalmente un sindacalista che ha le idee chiare su cosa debba fare realmente il sindacato”, afferma la segretaria del Pd bellunese, Erika Dal Farra. Applausi anche per lo psicanalista Massimo Recalcati, che in un passaggio evidenzia il rischio che i giovani “cadano prigionieri” del populismo e dell’antipolitica mentre proprio Renzi, all’inizio del suo percorso, li aveva “radunati intorno alla politica come sogno. Per questo bisogna sfuggire a chi oggi vuole cucire addosso a Renzi il vestito grigio che identifica il sistema e la burocrazia. Questo per chi governa è un problema. Icaro deve tornare a volare”. Tra un intervento e l’altro c’è il tempo di un caffè e di incrociare i tanti corregionali accorsi alla manifestazione: Alessandra Poggiani e Matteo Montagner di Venezia che, sabato insieme a Giovanni Zorzi di Castelfranco Veneto hanno partecipato ai tavoli di lavoro e discussione con i ministri, il segretario del Pd Padova, Antonio Bressa, molti deputati, tra cui la veronese Alessia Rotta, responsabile comunicazione del Pd nazionale, la vicentina Daniela Sbrollini e il bellunese Roger De Menech – un veterano della Leopolda, tanto da essere considerato tra i fondatori (era sul palco a parlare nella prima edizione, quella del Big Bang). E, ancora, la consigliera regionale Francesca Zottis, il consigliere comunale di Venezia, Andrea Ferrazzi, il consigliere comunale di Sedico (BL) Sebastiano Casoni, i vicentini Silvia Dalle Rive ed Emanuele Cagnes. Il finale è tutto di Matteo Renzi, capace come sempre di conquistare il suo auditorium con un’ora e dieci minuti di intervento tirato, senza risparmiare colpi a “chi sa dire solo no”, a chi “usa il referendum per tentare di riprendersi il posto di potere che ha perso”, a chi “ha parlato per 34 anni di riforme e ora che noi le facciamo dice che siamo ‘frettolosi’”. Ma è sul futuro che si concentra il presidente del Consiglio: “Noi alla Leopolda abbiamo sempre parlato di futuro, ma non ci siamo accorti che parte di quel futuro l’abbiamo già realizzato. Se oggi molti quarantenni amministrano le città, non solo nel nostro partito, è perché qui abbiamo detto che non ci rassegnavamo a rispettare la fila. Noi stiamo restituendo all’Italia ciò che merita, ma per farlo abbiamo dovuto sostituire un gruppo dirigente che ci aveva governato fino ad allora. Se non fai le cose non sei in grado d’incidere sul futuro delle persone. Siamo ad un punto cruciale che è un derby tra la rabbia e la proposta, tra la nostalgia e il domain. Noi abbiamo un’unica possibilità, ed è quella di recuperare la cosa più bella della politica, andare in contro alla gente e spiegargli questa riforma, chiedergli se vogliono scegliere il futuro o il passato, l’innovazione o la conservazione”. Adesso, ha concluso Renzi tra gli applausi delle migliaia di persone raccolte sotto i capannoni dell’ex stazione ferroviaria, “cosa dobbiamo fare lo sanno perfettamente gli italiani: cambiare per affrontare le sfide globali. Adesso non dipende più da me, dipende da noi”.
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