Quanto accaduto a Fermo svela tutta la nostra superficialità, anche linguistica. La riflessione di Alessia Rotta.
Abbiamo un bel parlare tra politici, studiosi, esperti e anche semplici cittadini di flussi migratori, di capacità di accoglienza, di zone di fuga e ricezione. Tutta roba che anche linguisticamente tiene a giusta distanza il fatto che dietro queste astrazioni altisonanti ci sono persone. Tante, ognuna di loro un mondo. Dietro la nonchalance con cui i nuovi nazionalismi, i movimenti xenofobi, trattano come numeri gelidi gli uomini e le donne e i bambini che scappano dagli orrori di paesi dannati, ci sono mondi interi. Mondi interi declassati al rango di “flussi”, spersonalizzati, senza volto, senza identità. Mondi piccoli e preziosi, difesi e protetti nella piccola famiglia di Emmanuel Chidi Namdi, morto a colpi di spranga, quando si sentiva al sicuro, in una bella cittadina della nostra provincia più tranquilla. Dopo essere scampato agli orrori di Boko Haram, avere attraversato il deserto, tentato la sorte di una traversata del Mediterraneo che il più delle volte finisce male, dopo avere visto la sua giovane compagna perdere il figlio che portava in grembo in mezzo a tutti questi ostacoli, ha fatto un errore fatale. Ha pensato di essere al sicuro, si è sposato, ha trovato chi lo accoglieva, e avrà tirato il fiato. “Ce l’abbiamo fatta”, avrà pensato. Non aveva fatto i conti coi mostri ingrassati dalla superficialità con cui i nuovi nazionalismi nutrono menti deboli, istinti aggressivi, odio per l’altro da noi. Si era fidato. E non immaginava, che lui era un flusso, un’onda anomala, che un giorno butta un bambino inanimato su una spiaggia turca, un’altra ci consegna un giovane uomo che sposa la sua ragazza e finisce picchiato a morte per averla difesa da un’aggressione razzista. Con che coraggio i rappresentanti dei partiti xenofobi e nazionalisti che anche qua in Italia abbiamo ben rappresentati oggi diranno in televisione, sui giornali, che no, i cittadini non si sentono sicuri nelle loro città? O sarà ancora la volta di giustificare l’orrore con la scappatoia dei flussi, degli indici, dei numeri? Quello che è successo a Fermo pesa come un macigno, va oltre il crimine efferato commesso, è una ferita alla nostra integrità culturale e sociale. Ho in mente la foto sorridente della moglie di Emmanuel, nel suo vestito bianco da sposa, nel suo giorno forse più felice. Si è fidata anzi, di più si è affidata a una comunità che non ha saputo restituirle quel grammo di felicità che meritava, lei come chiunque altro. E se c’è qualcosa di peggio che disattendere le aspettative di chi chiede solo pace, e un’opportunità di vita, ed è tradirle, quelle aspettative, nel modo più vigliacco. Lo ha fatto la mano di qualche sciagurato a Fermo, armata dalla spranga di un’ideologia intollerante e violenta che a quanto pare fatica ad essere spazzata via anche dal nostro continente. E il danno fatto è irreparabile. Ci serva quanto meno ad esempio per capire che dietro un mondo che cambia, velocemente, che crea nuove società, diverse da come le abbiamo finora conosciute, ci sono le stesse ragioni per cui ognuno di noi sarebbe disposto a rischiare la vita: la propria famiglia, i propri figli. Emmanuel l’altro giorno non era un numero, era un uomo che era disposto a lottare per difendere la dignità della sua famiglia, per potere sostenere lo sguardo di sua moglie e dirle: “Ce l’abbiamo fatta anche questa volta, te l’avevo promesso”. Come avreste fatto voi, come avrei fatto io, senza alcuna differenza. Alessia Rotta