Pubblichiamo l'intervento di Matteo Favero, responsabile del forum Ambiente e infrastrutture del Partito democratico del Veneto
Il 24 maggio di 107 anni fa per l’Italia cominciava la tragedia della Grande Guerra che ci costò 650 mila morti e fu celebrata con la famosa “Canzone del Piave”: una pagina indimenticabile della storia veneta e nazionale. Per attualizzare l’accento retorico di questa ricorrenza è bene chiarire che il Piave – o meglio la Piave - rappresenta oggi una formidabile chiave di lettura del nostro territorio.
Il fiume “Sacro alla Patria” nasce in Veneto dal Monte Peralba nel Bellunese e dopo 220 chilometri sfocia nel Mar Adriatico ed è un corso d’acqua da tempo in agonia. Fiaccato da prelievi agricoli e idroelettrici, dragato per l’estrazione del suo “oro grigio”, la ghiaia, inquinato per carenze depurative e qualche sversamento illegale, interessato da una cronica e oramai grave siccità in tutto il suo reticolo idrico per effetto del cambiamento climatico, come certifica Legambiente Veneto. Da qui, oltre alla denuncia e alle storiche battaglie per la sua tutela, nasce la parabola di un’analisi seria sul Veneto. Una terra bellissima, proprio come è l’ecosistema del Piave, ma fortemente antropizzata, consumata dal cemento e purtroppo impreparata al cambiamento climatico - si pensi ai ritardi del post Vaia, alla carenza d’acqua, alle questioni energetiche - e con un diffuso pregiudizio sul positivo valore, anche economico, delle sfide ambientali del XXI secolo. Un tema che non manca certamente nella narrazione del consenso della destra, simile peraltro alla retorica sul Piave, ricercato e mantenuto senza compromessi, ma che per chi governa la nostra regione da oltre un quarto di secolo vale solo per gli annunci.
Ed è così, ad esempio, che per sapere cosa accadrà al fiume Piave in tema di uso dei bacini alpini dovremo attendere il 2029, che non si sa ancora in quale modo progettare una messa in sicurezza dalle alluvioni lungo tutto il suo corso senza interventi impattanti, vedasi le proteste dei sindaci sulle casse di Ciano o sul nuovo Ponte di Vidor, che il consumo di suolo in contesti territoriali adiacenti a buona parte dei siti Unesco del Veneto è critico. Pregevole in tale ambito l’impegno di Coldiretti sulla tutela della biodiversità veneta.
Se è bene una Venezia recentemente presentata come capitale mondiale della sostenibilità, va detto anche che operazioni di questo tipo vanno sicuramente dotate di concretezza con scelte politiche coraggiose e sfidanti. Dal trasporto pubblico con un aggiornato SFMR Veneto alla città intelligenti e resilienti, vero motore della transizione ecologica e antidoto vero alle disuguaglianze sociali, alle rinnovabili su tetti, aree dismesse e capannoni riutilizzati. E qui c’è un Veneto che, al di là dell’immobilismo del governo regionale veneto, accetta già la sfida dell’economia verde che innova, non produce danni all’ambiente bensì al contrario posti di lavoro.
Secondo i dati rigorosi di Fondazione Symbola il Veneto, con 41.600 imprenditori di eccellenza, è la terza regione italiana per numero di imprese che effettuano eco-investimenti e seconda per numero di contratti stipulati a lavori verdi. E molte delle sue realtà agricole, della filiera del legno-arredo e del riuso dei rifiuti fanno scuola nel mondo. È questo il Veneto da cui partire per capirlo meglio e avere l’ambizione, come ha giustamente detto Andrea Martella, di guidare verso un futuro migliore e inclusivo tutta la comunità veneta.