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De Luca e la pistola fumante del terzo mandato



di Ivo Rossi


Le vicende relative all’approvazione della ‘leggina’ sul cosiddetto terzo mandato di De Luca, meglio di qualsivoglia manuale di diritto, spiegano la necessità del mantenimento dei limiti temporali all’esercizio dei poteri esecutivi monocratici, com’è il caso dei presidenti di regione eletti direttamente.


E’ utile ricordare come la legge statale 165/2004 - qualora il Consiglio regionale abbia optato per l’elezione popolare diretta del suo presidente - ha stabilito la non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto”. Da quella data le regioni erano chiamate ad adottare nella propria legge elettorale tale limite. Il Veneto, pur con un ritardo di otto anni, l’ha fatto nel 2012, consentendo a Zaia, in virtù di un “fatto salvo”, di essere già ora al suo terzo mandato, cosa che non gli impedisce di chiedere l’eliminazione di qualsiasi limite.

La pretesa fuori tempo massimo di De Luca, di adottare con legge regionale i limiti introdotti dalla legge statale ben vent’anni prima e in funzione di un’estensione ad libitum del suo personale potere, ha dapprima provocato legittimi dissensi da parte dei consiglieri della sua stessa maggioranza, riserve silenziate dalla minaccia di scioglimento del Consiglio regionale quale conseguenza delle annunciate dimissioni di De Luca in caso di voto contrario. Ecco il punto: un presidente di regione che con le sue dimissioni determina lo scioglimento del Consiglio regionale, in questo caso per questioni legate al suo personalissimo potere, dispone di un inaccettabile potere sulla vita dell’istituzione che, pro tempore, è stato chiamato a presiedere.


Il limite ai mandati è stato introdotto proprio quale contrappeso rispetto all’enorme potere attribuito ai presidenti eletti a suffragio universale diretto, un potere assoluto proprio come nelle monarchie, che rende insignificante il ruolo dei consigli e dei consiglieri chiamati a rappresentare i cittadini senza vincolo di mandato. E un conto è minacciare le dimissioni nel caso in cui il presidente non goda più della fiducia del Consiglio rispetto al programma di governo, altro è la minaccia/ricatto in funzione del proprio potere personale.


Negli Stati Uniti, solo per citare una grande democrazia, a nessuno (al momento nemmeno a Trump), viene in mente di proporre l’eliminazione del limite dei due mandati per il presidente eletto, in più, in caso di sue dimissioni, il Senato e il Congresso continuano a svolgere la loro funzione legislativa e di rappresentanza. Funzionano come contropoteri, come strumento di limitazione del potere presidenziale, anche laddove le maggioranze siano le stesse.


E’ questo un punto centrale della questione terzo mandato e sono davvero risibili gli argomenti usati all’unisono da Zaia e De Luca, che con nonchalance, chiedono di equiparare i presidenti di Regione ai parlamentari e ai consiglieri, titolari del solo potere legislativo e di controllo, che è cosa ben diversa dall’abnorme potere esecutivo posto in capo al presidente, che quei consiglieri può mandare a casa. Se De Luca e Zaia sono così attaccati alla poltrona, la strada per chiedere l’estensione dei loro mandati, passa attraverso quella facoltà che la Costituzione ha stabilito all’articolo 122, laddove si afferma che “Il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio elettorale diretto”. L’eventuale soluzione sta proprio là: nella modifica statutaria che torni ad attribuire al Consiglio l’elezione del presidente della Giunta. Tertium non datur, anche agli uomini della provvidenza.

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