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Con Berlinguer a Venezia



È stato pubblicato da poche settimane 'Con Berlinguer a Venezia' (La Toletta edizioni, 2022), scritto da Cesare De Piccoli e curato da Pierangelo Molena e Giovanni Pelizzato. Il volume offre uno sguardo inconsueto del segretario del PCI di cui ricorre quest'anno il centenario dalla nascita. Partendo da un'angolazione veneziana ricordi personali dell'autore e frammenti dei discorsi degli ultimi undici anni di si alternano per ricostruire un pezzo cruciale della storia repubblicana. Il segretario regionale Andrea Martella, con Cesare De Piccoli e la segretaria del PD di Portogruaro, venerdì 15 luglio ha presentato il libro alla Festa de L'Unità di Giussago.


Riportiamo di seguito l'intervento del segretario regionale.


La scelta di Cesare De Piccoli, in queste pagine, è precisa e voluta: guardare ad Enrico Berlinguer, alla sua vicenda umana e politica, da un punto di vista particolare e al tempo stesso unico al mondo come Venezia. Potrebbe sembrare qualcosa di riduttivo, non sufficiente a descrivere una figura che ha lasciato un segno importante nella storia dell’Italia repubblicana. E invece non è affatto così. Alternando ricordi personali e brani di discorsi di Berlinguer tenuti qui, nella nostra terra, emergono alla fine, come d’incanto, tutte le tessere che compongono il mosaico dell’allora segretario del Pci e delle grandi questioni del suo tempo.


Il discorso conclusivo del Festival dell’Unità di Venezia, a giugno del ’73, è l’occasione per capire come fosse già presente e nitido il tema dell’incontro con le forze di ispirazione cattolica. Tre mesi prima del golpe in Cile, che come noto spinse Berlinguer a lanciare dalle colonne di “Rinascita” la strategia del “compromesso storico”.


L’incontro del ‘74 al Petrolchimico e quello di sei anni dopo alla pineta di Sant’Elena sono invece il modo di affacciarsi, rispettivamente, sull’importanza della battaglia per il “no” al referendum sul divorzio e sulla centralità che Berlinguer, davvero in anticipo sui tempi – ha buon gioco De Piccoli a commentare che “Greta Thunberg era ancora molto di là da venire” – assegnava alla questione ambientale. Era l’intuizione dell’austerità, con il ragionare sulla sostenibilità dello sviluppo e sull’uso equilibrato delle risorse, proprio mentre idee non diverse, di fronte alla contraddizione tra espansione senza limiti e ambiente naturale, venivano portate avanti in quegli stessi anni da uomini come Willy Brandt e Olaf Palme.


Di nuovo Porto Marghera, questa volta nel 1981, è il luogo in cui Berlinguer, di fronte a migliaia di lavoratori che lo ascoltano, si schiera con decisione nella partita sul referendum sull’aborto e si contrappone con assoluta fermezza e intransigenza al terrorismo, in un momento cupo e durissimo della nostra vicenda nazionale, poco dopo l’assassinio del dirigente del Petrolchimico Sergio Gori e del commissario di polizia Alfredo Albanese e solo nove giorni prima del sequestro di Giuseppe Taliercio, poi barbaramente assassinato.

Sempre lo stesso anno, l’‘81, Berlinguer arriva a Venezia per una Festa nazionale delle donne che in qualche modo è rimasta nella storia. In questa occasione affronta non solo i temi legati alla rivoluzione femminile e all’importanza che nel nostro Paese si facesse sentire sempre più forte “la presenza innovatrice della donna, decisa a liberarsi finalmente da secoli di oppressione, di servaggio, di solitudine, di mortificazione, di violenza”. Berlinguer va oltre, si sofferma sulle innovazioni tecnologiche che cambieranno sempre di più il mondo del lavoro e che renderanno sempre più stringente la necessità – e anche qui la questione è quanto mai attuale – di creare occupazione di qualità in particolare proprio per le donne e per i giovani. E poi tocca uno dei nodi che più lo assillano: la “questione morale”. Non per “moralismo”, come chiarisce in modo netto e diretto. Ma perché ha compreso che le degenerazioni di un intero sistema sono arrivate troppo in profondità e che solo l’accento su una nuova moralità della politica avrebbe potuto riscattare i cittadini dal qualunquismo e dall’apatia.

De Piccoli riprende un passaggio molto bello, di quel discorso. È quando Berlinguer sottolinea il bisogno “di una correttezza, di una trasparenza e di una chiarezza nella condotta dei partiti, del governo e degli organi dello Stato, che consenta a tutto il popolo italiano di comprendere quello che si dice, quello che si fa e perché lo si fa”.


Ecco, sono passati più di quarant’anni, ma certo far comprendere “quello che si dice, quello che si fa e perché lo si fa”, davvero rappresenta la regola aurea che ogni donna e ogni uomo che scelga la politica come impegno dovrebbe portare con sé e seguire sempre, in ogni momento.


Infine, senza svelare troppo di queste pagine che meritano di essere lette tutte, godendo di ogni riga, non mancano i ricordi personali, quelli di un dirigente, di un “giovane berlingueriano” che si ritrova con il suo segretario che esce dalla stanza d’albergo in canottiera e fumando una sigaretta gli chiede informazioni sul clima politico tra i lavoratori o che di ritorno da una vacanza sull’arcipelago delle Brioni con molta tranquillità e naturalezza mostra, durante un pranzo, l’ustione che gli ha procurato una medusa. O ancora c’è l’episodio dell’incontro, durante una mostra di Guttuso, con solo un freddo cenno del capo e senza scambiarsi una parola – e questo vale più di una lunga disamina dello “strappo” compiuto rispetto all’Urss – con Boris Ponomariov, il potente capo del Dipartimento esteri del Pcus.


Insomma, Cesare De Piccoli, da Venezia – e da Padova, dove su quel palco di Piazza della frutta iniziò a spegnersi la vita di Enrico Berlinguer – davvero ha avuto la capacità di raccontare tanto, in poche pagine calde e sentite, di un uomo politico che ha saputo misurarsi con le grandi sfide del suo tempo e con le questioni decisive del nostro Paese. E che per questo, merita di essere ricordato.


Andrea Martella

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