Sono passati settantasette anni da quel giorno, il giorno della Liberazione. Un tempo lungo, attraversato da diverse generazioni. Quella di chi visse allora, di chi conobbe l’abisso in cui il nostro Paese e il resto dell’Europa precipitarono, di chi scelse di resistere e di battersi per uscirne. Quelle, successive, di chi tutto ciò l’ha studiato sui libri di storia o l’ha ascoltato dai racconti dei padri e dei nonni.
Sta proprio qui, anche a tanto tempo di distanza, il grande e irrinunciabile significato di un giorno di festa nazionale come il 25 aprile: tenere vivo il valore di questo racconto. Coltivare il dovere della memoria. Non come sola e semplice celebrazione. Ma come comprensione del presente e costruzione del futuro.
È per questo che oggi noi dobbiamo e vogliamo ricordare. Ricordare da dove iniziò il cammino che il nostro Paese ha compiuto a partire da quei giorni. Ricordare quanto furono duri e dolorosi i passi compiuti per riconquistare ciò che di più caro esiste per ogni donna e per ogni uomo, così come per un popolo intero: la libertà.
Mai darla per scontata, lo abbiamo sempre sostenuto. Dallo scorso 24 febbraio abbiamo compreso, nel modo purtroppo più terribile, quanto questo principio sia vero. Quanto si debba essere sempre pronti a difendere la libertà e la pace lì dove ci sono, e a lottare per riguadagnarle lì dove sono limitate o peggio ancora calpestate.
L'invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin ha leso la sovranità di un Paese vicino, ha costretto un popolo intero a difendere la propria indipendenza e ha portato la guerra nel cuore dell’Europa.
Alle diplomazie, alle istituzioni europee per prime, spetta il compito di perseguire in ogni modo la via di un negoziato che possa condurre innanzitutto alla cessazione delle ostilità. Alle nostre coscienze è assegnato il dovere di affermare che l’uccisione di migliaia di civili, il dramma dei profughi, il colpo terribile inferto alla stabilità e alla pace in tutto il continente, non consentono ambiguità e non ammettono pregiudizi che possano far minimamente pensare ad una sostanziale equidistanza tra le parti in causa. Una è l’aggressore, l’altra è l’aggredito.
Per tutto questo, oggi più che mai, il pensiero va all’esempio dei nostri Padri e delle nostre Madri. Sono loro ad averci insegnato che la libertà e la pace non sono semplici parole ma concetti vitali per cui battersi. Sono loro ad aver trasferito questi concetti nei principi fondamentali della nostra Costituzione, che nella loro pienezza e integrità continuano ad essere i pilastri su cui si basa il nostro vivere comune.
Andrea Martella